C’era una volta la talpina Berenice che viveva in una deliziosa casina nascosta tra radici di rosa e lillà.
La casina di Berenice era proprio buffa perché non aveva né finestre né un tetto.
Non aveva né finestre né un tetto perché era una buffa casina sottoterra, nascosta tra tenere radici di rosa e lillà.
A dir la verità, una finestra l’aveva: un grosso buco che faceva anche da porta.
Mamma Talpa diceva sempre alla talpina Berenice: «Non uscire mai da quel buco! Se no finisci proprio in mezzo al cortile. E c’è Simeone che guai se ti vede».
Simeone era un grande, grande burbero cane.
Una volta, mentre dormiva, una talpina piccola, piccola come Berenice, aveva scambiato il suo orecchio per la porta di casa. E vi si era infilata. Inutile dirvi l’ira di Simeone, che da allora non può più vedere né talpine né talpotte. E va in giro abbaiando: «Loro non possono vedere me perché sono orbe come talpe? Bene, io non posso vedere loro anche se la vista io l’ho buona! Bau, e arcibau!»
La talpina Berenice aveva un grosso fiocco rosso.
Alla talpina Berenice piaceva tanto mostrarsi col suo fiocco rosso. Peccato che mamma Talpa non la lasciasse uscire oltre il buco ch’era la porta di casa.
Così Berenice per mostrare a tutti che aveva un grande fiocco rosso, decise di andare in città.
In città tutti sanno che c’è tanta gente oltre a mici, uccellini e cani, senz’altro più gentili di Simeone.
Mamma Talpa non voleva che Berenice uscisse dal buco che era la porta di casa?
Ebbene, la talpina birichina decise di andare in città scavando di nascosto, lì sottoterra: così nessuno poteva accorgersene, nemmeno Simeone.
Scava e scava, Berenice con il suo grande fiocco rosso urtò col musetto contro qualcosa di morbido: era un grosso cavo di gomma del telefono.
Poi urtò contro qualcosa di freddo: era un tubo del gas.
Infine, avvertì dell’umido. E questa volta era una condotta dell’acqua potabile.
«Ci sono!» pensò Berenice. «Ormai sono in città».
E infatti, di lì a poco, sbucò in una galleria: un galleria uguale in tutto a quelle che lei scavava, ma molto molto più grande.
Le sue sorprese non erano finite. Subito dopo udì un frastuono terribile e un treno rosso le passò accanto. Poi ne passò uno verde. E poi un altro, invece giallo.
Berenice con grande coraggio si incamminò nella galleria e passo dopo passo, arrivò in un posto, sempre sottoterra, pieno di persone e luci. Un posto davvero strano, strano come il nome che aveva: era una stazione della metropolitana.
Ma la gente che c’era, era troppo diversa da Berenice: la gente era tutta vestita con scarpe, giacche, gonne e cravatte. Lei, Berenice, invece aveva soltanto il suo gran fiocco rosso.
Nient’altro.
Così per non dare nell’occhio, Berenice raccattò un giornale abbandonato, salì su un treno e, come tutti gli altri passeggeri, si mise a sedere. Aprì il giornale, e facendo finta di leggerlo, vi si nascose dietro.
Tutti in metropolitana leggono il giornale e chi per caso non l’ha, legge quello del vicino. Ma si dà il caso che intorno a Berenice ci fossero tante persone senza giornale, e tutte un po’ alla volta incominciarono a sbirciare il foglio dietro al quale stava Berenice.
Il guaio: tutte, appena allungarono il collo, non poterono trattenere un «Oh» di meraviglia. Berenice stava leggendo il giornale capovolto, all’incontrario.
Che vergogna!
La talpina Berenice diventò rossa più del suo fiocco.
Lei che non voleva farsi notare adesso era lì con gli occhi di tutti addosso.
E no, si disse Berenice, così alla cieca non posso andare avanti.
Siccome era una talpina intelligente, aveva notato tante persone che avevano davanti agli occhi due finestre. Finestre speciali che si potevano mettere e togliere. Berenice non aveva mai saputo in vita sua di una talpina con gli occhiali. Ma lo stesso, perché non poteva essere lei la prima?
Così andò in un posto dove un signore molto gentile, con un grembiule bianco, l’accolse con un sorriso.
«Proprio oggi ho venduto occhiali già ad altre talpine» disse.
«Allora non sono io l’unica!» esclamò Berenice tutta contenta di prendersi un paio di occhialoni rossi, rossi come il suo fiocco.
Da allora Berenice ci vede che è un piacere.
Va e viene dalla metropolitana perché lei, sottoterra, ci si sente di casa. E non c’è più pericolo che si metta con il giornale alla rovescia.
Anzi, ora ci vede bene, ma così bene, da leggere lei i giornali dei vicini, seduti accanto.
Da “Il drago racconta”,
è proprio bella e molto simpatica, mi piace come è scritta…sei riuscito a farmi vedere i personaggi attraverso le parole.
Ti eleggo mio sostegno morale ufficiale…. Ne ho bisogno